Anche Wall Street si schiera a difesa dell’ambiente
La grande finanza, con BlackRock in testa, ha fatto una netta scelta di campo. D’altra parte il momento per agire è ora: secondo il Doomsday Clock ideato da Albert Einstein mancano 100 secondi alla catastrofe totale.
Se ancora ci fossero dei dubbi sull’irreversibilità della scelta green effettuata dal mondo occidentale, basterebbe l’ultima notizia arrivata da BlackRock a spazzarli via. La prima casa di gestione al mondo ha infatti annunciato di aver raccolto ben 4,8 miliardi di dollari con la chiusura finale del Global Renewable Power Fund III.
All’operazione hanno partecipato oltre 100 investitori istituzionali, tra cui importanti fondi pensione pubblici e privati, compagnie di assicurazione, fondazioni e family office di oltre 18 Paesi a livello globale. Insomma gli “investitori che contano” e non i piccoli risparmiatori.
E quando una squadra così forte decide di mettersi in marcia non c’è niente e nessuno che possa arrestare la sua avanzata. D’altra parte BlackRock ha le idee chiare sul tema della sostenibilità già da diverso tempo. Nel 2017 la società che gestisce asset per 8.000 miliardi di dollari (otto volte il Pil dell’Italia) aveva annunciato di voler progressivamente uscire dagli investimenti inquinanti. E da quel momento ha agito di conseguenza: il fondo appena lanciato è il terzo della serie Global Renewable Power e, in generale, il quinto che investe in asset infrastrutturali climatici globali, principalmente nella produzione di energia rinnovabile, in America, Europa e Asia.
A spingere BlackRock e gli altri grandi operatori finanziari ad abbracciare la battaglia in difesa dell’ambiente non ci sono solo sacrosanti principi etici, ma anche attraenti rendimenti.
David Giordano, Global Head of BlackRock Renewable Power, non ha certo fatto mistero del fatto che l’energia rinnovabile ha “il potenziale di generare rendimenti interessanti e stabili con una bassa correlazione al ciclo economico”.
Al di là dei motivi che hanno spinto BlackRock (e molti altri big della finanza) a fare questa scelta di campo, possiamo comunque tirare un piccolo sospiro di sollievo perché, in caso contrario, il disastro ambientale sarebbe inevitabile. Non c’è infatti più tempo da perdere per annullare l’effetto dell’attività umana. La rappresentazione più efficace di quanto siamo vicini alla catastrofe globale ce la fornisce l’Ong Bulletin of the Atomic Scientists che patrocina il Doomsday Clock, cioè l’orologio del giorno del giudizio. Ebbene secondo questo particolarissimo orologio mancano solo 100 secondi all’annientamento totale.
Il passaggio a meno di due minuti dal “disastro finale”, giudizio che è stato emesso in consultazione con il Bulletin’s Board of Sponsors che comprende 13 scienziati premi Nobel, ha segnato il punto più vicino alla mezzanotte della sua storia. A creare una situazione così pericolosa non è ovviamente solo la catastrofe ambientale, ma anche le crescenti tensioni geopolitiche, la grave crisi innescata dal Covid-19 e la sempre più diffusa perdita di fiducia nella scienza e nelle istituzioni.
Il Doomsday è ovviamente una rappresentazione molto semplificata della realtà, ma ignorarlo sarebbe un grave errore. Dietro di esso c’è niente di meno che Albert Einstein che nel 1945, assieme ad altri scienziati dell’Università di Chicago che hanno contribuito a sviluppare le prime armi atomiche nel Progetto Manhattan, diede vita al Bulletin of the Atomic Scientists.
Come dice il nome stesso, allora le paure erano legate a un possibile conflitto nucleare ma, per quanto la Guerra Fredda sia ormai superata, la situazione di grandissimo rischio non è affatto alle nostre spalle. Anzi, è più attuale che mai.